Sì, principalmente dopo il 1996, quando la disciplina dell’istituto è stata rivista, con il riconoscimento di una maggiore autonomia e libertà alle parti: esse possono decidere, sulla base di un accordo scritto (c.d. compromesso o clausola compromissoria), di rimettere la soluzione di una controversia insorta o insorgenda ad uno o più arbitri (privati).
Le parti possono così stabilire: l’oggetto del giudizio arbitrale, che deve riguardare diritti di cui possano disporre;
il diritto applicabile (richiamando i principi generali del diritto, usi e consuetudini del commercio internazionale);
le regole procedurali da applicare al giudizio arbitrale (come la nomina degli arbitri o l’attività difensiva delle parti);
Nel procedimento le parti possono scegliere se farsi assistere o meno da un legale.
Il provvedimento che definisce il procedimento arbitrale (lodo) costituisce la base per avviare, in caso di mancato adeguamento spontaneo delle altre parti, l’eventuale fase esecutiva, ed è impugnabile in limitate ipotesi.
Va precisato che l’arbitrato non prevede l’intervento dello Stato (se non nella eventuale fase di “omologazione” del lodo arbitrale).